Immaginiamo per un attimo un uomo che metta sullo stesso piano la cosiddetta profezia Maya sulla fine del mondo nel 2012 riportata da uno strologo qualunque e una previsione sul surriscaldamento della terra presentata da uno scienziato di fama mondiale.
Se pensassi a mio figlio, di sicuro non vorrei che divenisse un adulto così!
Come impedire in concreto che ciò avvenga, cosa possiamo fare noi che viviamo intorno al bambino, noi che siamo genitori, insegnanti o educatori dei futuri adulti, che viviamo con loro?
Detta così la questione è di una complessità enorme.
In generale una buona istruzione dovrebbe essere sufficiente a dare gli strumenti necessari al futuro adulto.
Evidentemente non è così: è la realtà, purtroppo, a negare tale ipotesi. Basti pensare al numero di persone che ad oggi seguono seriamente indicazioni di fatucchiere e strologhi antichi o moderni tra coloro che, almeno in teoria, hanno ricevuto una istruzione di base adeguata (almeno una licenza media inferiore).
Se poi si pensa a quanto siano subdoli i mezzi di comunicazione moderni...
La televisione è in grado di fornire apparente credibilità a un qualsivoglia messaggio: l'attenzione si focalizza sull'apparenza e sulle impressioni più che sui contenuti. In Internet poi vi è tutto e il contrario di tutto: difficile riuscire a discriminare tra una informazione corretta, una inesatta e una vera e propria baggianata.
Forse l'unica salvezza per il bambino è quella di ricevere, insieme ad una istruzione costituita da un buon complesso di nozioni di base sui vari aspetti del nostro mondo, una buona dose di capacità critica.
Qui è il vero problema: come riuscire ad affiancare al necessario nozionismo l'adeguata capacità critica!
La domanda, ancora una volta, è di una complessità disarmante.
Si potrebbe rispondere trattando la questione da svariati ambiti; anzi, si dovrebbe rispondere trattando l'argomento in tutti quei diversi contesti relativi all'istruzione e all'educazione (nelle analisi dei testi in italiano, nelle attività creative quali la musica, …).
Personalmente ho riflettuto a lungo su questo, sul come riuscire a far crescere i miei figli dando loro una capacità autonoma di pensiero e di critica.
Probabilmente guidato dalle mie passioni, ho trovato in qualche modo aiuto nella Scienza. Mi spiego meglio, ho trovato nel metodo scientifico quello che ritengo possa essere un aiuto nel fornire quella capacità critica di cui qui si parla.
Ciò su cui vorrei far riflettere anche voi è su come l'insegnamento del metodo scientifico, ovvero il metodo che il nostro Galileo Galilei per primo ha codificato allo scopo di capire il come avvengano le cose di Natura, possa essere uno strumento utile per fornire quella capacità di discernimento di cui si sta discutendo.
Spesso vengono effettuati esperienze ed esperimenti, sia a scuola che a casa. Spesso però tali esperienze sono tutte volte a far acquisire la nozione al ragazzo, non ad insegnare a lui il metodo di indagine. Talvolta, concentrati come siamo a spiegare la nostra tesi, omettiamo dei necessari passaggi dettati dal metodo scientifico .
[personalmente non vi avevo posta molta attenzione, riflettendoci meglio mi sono reso conto che anch'io, quando ho fatto alcuni piccoli esperimenti insieme ai miei bambini, sono stato completamente assorto a cercare di far capire la nozione, ad esempio sul perché la candela si spenga dopo un po' quando chiusa sotto un vetro; talmente assorto da dimenticare il metodo adeguato. Solo a seguito di questa riflessione mi sono accorto che nel fare l'esperimento non stavo seguendo un metodo scientifico, stavo sciorinando in maniera più o meno accattivante le mie nozioni...]
Si rischia, di nuovo, di passare “solo” nozioni; magari passarle in maniera interessante ma, ripeto, solo nozioni, carenti di metodo.
Cercherò di fare un esempio per meglio chiarire cosa intenda. Si provi ad immaginare un padre di fronte ad un bambino di 11-12 mesi che ancora non sa muovere i suoi primi passi. Sarebbe ridicolo pensare che il padre possa insegnare al figlio come camminare mostrandogli come cammini lui stesso, o magari prendendo le gambette del bambino e muovendogliele secondo uno schema...
In realtà il bambino imparerà a camminare quando si troverà di fronte a un problema, di suo interesse, che vorrà risolvere. Certo il bambino si baserà sull'osservazione, ma di fronte al problema di raggiungere un determinato obiettivo (un oggetto che vuol prendere), si organizzerà a modo suo: anche in maniera molto originale (tipo gattonare all'indietro, etc). Finché ad un certo punto non troverà il proprio sistema per barcollare e portarsi su due piedi, a modo proprio. Ed imparerà effettivamente a camminare facendo tesoro degli sbagli, immagazzinando la propria esperienza; e non dimenticherà più come si cammina!
In fondo Galileo ha “solo” codificato ciò che il bambino, istintivamente, già sa: il metodo utilizzato per scoprire il mondo circostante.
Talvolta, troppo spesso, sia nella scuola che nel mondo circostante pur senza rendercene conto agiamo come se volessimo mettere in oblio tale metodo: persino durante esperimenti scientifici troppo orientati alla nozione e dimentichi del giusto metodo.
Ciò che vorrei sottolineare è il metodo scientifico in sé: da insegnarsi prima di tutto nelle scuole (ma anche a casa, per evitare gli errori nel quale sono caduto io...).
Colui che apprende, per non rimanere solo sul lato nozionistico, dovrebbe essere coinvolto cognitivamente e affettivamente sul problema che sta affrontando.
L'esperienza, da svolgere, deve partire dai bisogni specifici di colui che sta cercando, ovvero dalla capacità di stupirsi di fronte al mondo, dalla curiosità, dall'immaginazione, dal desiderio di porsi domande (e di questo, fortunatamente, i bambini sono molto dotati!).
Nell'esperienza deve avvertirsi il brivido del nuovo, la consapevolezza che si sta andando a cercare qualcosa di ignoto: lo spirito di avventura, la mente pronta a scoprire qualcosa che è sconosciuto.
L'esperimento deve imporre azione, creatività. Si deve poter dare sfogo all'immaginazione e non preoccuparsi di formulare teorie ardite.
E' necessario riuscire a modellizzare l'idea, riuscire a descriverla.
Ma soprattutto serve coraggio. Serve il coraggio della verifica oggettiva. Il coraggio di vedere le teorie smentite dalla prova dei fatti.
Infine è necessaria la perseveranza: la capacità di imparare dai propri sbagli, di modificare le proprie teorie e le proprie azioni; un po' come il bambino che a suon di cadute impara, finalmente, a muovere i suoi primi passi.
Stavo per dimenticarmi della cosa più importante: si cresce solo in un tessuto sociale, la scienza solo così avanza, grazie allo scambio di informazioni. Per l'utilizzo corretto del metodo scientifico serve anche la capacità di creare una comunità con cui scambiare le proprie idee e i propri risultati. La capacità di giudicare l'idea in base alle verifiche dei fatti, alla sua bontà in sé, e non in base a colui che la sostiene.
La mia riflessione quindi è su questo: sull'importanza dell'insegnamento del metodo scientifico in sé, che può, affiancato alle nozioni, dare quello spirito critico di cui necessitano i futuri adulti.
Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate di queste riflessioni che ho voluto qui condividere: se sono condivise in parte, per niente...
Sarebbe interessante sapere se qualcun altro ha mai riflettuto su questi aspetti, a quali conclusioni è arrivato.
Conoscere esperienze di insegnanti... riflessioni sul tema del pensiero critico che partano da altri punti di vista.
Insomma, rubo le parole ad un altro post per concludere:
spero di avervi incuriosito!
Alessandro

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Grazie Alessandro per lo spunto e l'invito alla discussione riguardante l'insegnamento nelle scuole dello spirito critico e del metodo scientifico. Ritengo che il primo si occupi di tante cose tra cui anche del secondo. L critica (sia pure intesa come spirito ma io propendo per la critica praticata) si applica anche al metodo scientifico. Concordo con te sull'importanza di esercitare i bambini nel metodo scientifico ma in tal caso non mi limiterei solo a quello Galileiano perché citando Russell anche un tacchino, benché americano, dal fatto che viene nutrito tutti i giorni sa che sarà nutrito anche domani, peccato che domani è il giorno del ringraziamento e chi si nutrirà sarà solo l'allevatore. In fin dei conti Galileo, da grande scienziato è divenuto oggi vittima dello scientismo per cui temo l'esclusività di tale metodo nelle scuole che ci ricondurrebbe al nozionismo. In fondo tutti i torti Bellarmino non li aveva, la teoria di Galileo (e Kopernico)a quel tempo era una congettura tra le congetture tutta da dimostrare (vedi Fayerabend, Contro il metodo). Per questo rivolgerei la mia attenzione come giustamente dici all'acquisizione di più metodi e alla discussione (critica) degli stessi che in definitiva ci porterebbe ad affrontare la storia della scienza, la storia di paradigmi scientifici e la loro critica (penso ai paradigmi di Khun).
RispondiEliminaUn ulteriore spunto di riflessione è chiedersi come nascono le teorie. Crediamo che l'osservazione della natura sia foriera di fatti che ci consentono di inferire una teoria, in realtà la natura osservata non è innocente, ossia l'osservatore è parte integrante dell'osservazione da qui si capovolgono i termini per cui le osservazioni sono guidate dalla teoria presente nell'osservatore che poi cercherà di dimostrarla. Il fatto è che da quando Cartesio ha scisso res cogitans da res extensa l'attenzione della scienza si è rivolta esclusivamente alla seconda escludendo la prima dal suo campo di ricerca perché considerata troppo metafisica per cui ci troviamo oggi a un paradosso: sappiamo che le teorie scientifiche sono dipendenti dall'osservatore e dalle sue capacità raziocinanti di cui non conosciamo niente. Non ci spieghiamo perché alcuni osservano la natura e i fenomeni nel modo giusto e altri invece no per cui i primi arrivano alla formulazione di una teoria (chiaramente da provare) e altri arrivano solo a un gran mal di testa. I modi di ragionare son tanti quanti le rivoluzioni scientifiche e di questi ne possiamo fare la storia, dei paradigmi scientifici futuri saranno protagonisti un giorno i nostri figli solo se capiranno come utilizzare il loro strumento cognitivo, se capiranno la stretta correlazione tra organi senso-emozionali e strutture cognitive.
Caro Archiloco, devo confessarti che ho letto con difficoltà il tuo commento. Ciò a causa della sua densità (di concetti) e a causa delle molte citazioni. Per facilitare la comprensione da parte di chi legge (o perlomeno da parte mia), ti chiederei di "diminuire le dotte citazioni per aumentare le esplicite e ragionevoli argomentazioni" (anche questa forse è una citazione di non ricordo chi...); anche se ciò, lo capisco bene, è piuttosto difficile da fare. In questo modo non sarebbe necessario andare a cercare Fayerband o Kuhn per capire a fondo il senso di ciò che scrivi, ma sarebbe sufficiente leggere il solo tuo articolo per una comprensione coerente e adeguata dell'idea che esponi. (nulla vieta poi di andare comunque a leggersi Kuhn ..)
RispondiEliminaDetto questo vorrei specificare che l'intento del mio articolo non è di considerare il solo metodo scientifico. Confesso di non aver capito cosa voglia dire il discorso del tacchino americano (Russell); posso però dirti che non volevo invitare a limitarsi al metodo Galileiano. L'intento dell'articolo è quello di suggerire, come strumento per fornire ai futuri adulti quella capacità critica cui necessiteranno per essere uomini liberi, l'insegnamento del metodo scientifico tout-court. L'insegnamento del metodo scientifico non è l'unico metodo per fornire capacità critica (immagino che anche un'analisi di un testo letterario, ad esempio una favola o un mito, a seconda di come condotta possa essere un ottimo strumento atto a tale scopo). Il mio articolo vuole solo suggerire un'idea, ovvero che il metodo scientifico forse andrebbe insegnato anche in quanto tale, e non solo utilizzato come mezzo per dimostrare un qualche fenomeno naturale.
Vorrei poi approfondire il tuo spunto di riflessione su come nascono le teorie.
Il fatto che l'osservatore possa influenzare l'osservato, almeno in certe circostanze, è ormai appurato e non più messo in discussione. Aggiungo poi che l'osservatore interpreta personalmente, secondo teorie in divenire più o meno esplicite, i fatti osservati.
Le teorie non so come nascano; probabilmente possono persino essere indipendenti dall'osservazione (si pensi alle teorie quantistiche, così lontane dalla realtà esperenziale di ognuno di noi), e scaturire direttamente da qualcosa che è insito in noi, quasi dal nostro modo di leggere e interpretare l'esterno che, probabilmente, dipende strettamente da come siamo fatti noi all'interno (dalla nostra mente, dal nostro corpo).
Al di là del problema, per me - lo confesso - insormontabile, di capire come possano nascere le teorie, quello che forse è comprensibile è capire come siano verificabili le teorie. La messa in discussione di ogni teoria, mai presa come verità bensì come rappresentazione (o modello) del mondo che la teoria vuol spiegare, è parte integrante, costituente direi, della Scienza e quindi del Metodo Scientifico. In questo senso credo che il far conoscere la scienza e i suoi metodi possa aiutare i nostri bambini a costruirsi una capacità critica, possa aiutarli a evitare di arroccarsi su idee precostituite, possa aiutarli alla tolleranza dell'altro e del diverso. Soprattutto possa aiutarli a divenire uomini liberi, in grado di osservare il mondo e di interpretarlo in maniera non dogmatica (come invece avviene, ad esempio, nel cosiddetto scientismo che tu richiami; il quale nulla però ha a che fare con Galileo. Al limite sono gli scientisti che arruolano, a loro evidente insaputa ed erroneamente, illustri pensatori del passato come Galileo).
Detto questo, mi piacerebbe molto capire da qualche insegnante, da qualcuno che lavora sul campo con i bambini, cosa ne pensa.
Capire da qualcuno sul campo (insegnanti) quali altri modi possano essere utilizzati per fornire capacità critica. Conoscere esperienze passate, progetti..